Qualche tempo fa, Marchesi mi disse che un grande piatto può nascere se il cuoco non ci mette troppo le mani.
Una regola che, per essere rispettata alla lettera, richiede una sorta di titanico candore; servono anni, esperienza, curiosità e audacia.
Serve, soprattutto, una dose non comune di libertà.
Quella felice sicurezza che l’occhio e l’età regalano a chi avanza senza inciampare nella propria ombra, guardando dritto in avanti.
Chi non perde di vista l’orizzonte, qualunque cosa succeda, non smette di sorridere, perché è certo che scoprirà qualcosa.
Cosa è giusto fare
«Per spiegarti cosa intendo con l’espressione non metterci troppo le mani – sottolinea Marchesi – devo per forza ripetermi e ripetere il proverbio brasiliano che dice lascia com’è per vedere come rimane e poi, anche, il concetto che l’improvvisazione presuppone la conoscenza della materia.
Arrivati lì, alla conoscenza complessiva e minuta della materia prima, cosa vuoi fare? Cosa è giusto fare?
Dopo che hai scoperto la materia non puoi più strapazzarla. La devi, semmai, mostrare, mettere in evidenza, “risposare” alla natura che l’ha generata.
«Molti cuochi, invece, presi dal demone del fare, non di mostrare, ma di mostrasi, cercano la via della complicazione. Snaturano le cose.
Che valore può avere il fatto di aggiungere qualcosa in più alla verità, a ciò che è»?
La lisca del tonno e l’estetica del taglio
«Immagina la scena – continua Marchesi – un ristorante giapponese, un tavolo diviso in due da una lisca di tonno di cinquanta chili. Gli invitati al banchetto, perché si tratta quasi di un rito, si accingono a spolpare la carcassa, muniti di conchiglie. E con queste vanno cercando la polpa tra vertebra e vertebra.
Non c’è nulla di macabro, ma qualcosa di forte, essenziale, geniale anche nella sua rappresentazione.
È teatro, è verità.
«Ma fammi aggiungere ancora una cosa intorno al taglio. La conchiglia va a fondo, arriva all’osso. Io seguo, mentalmente, lo stesso percorso.
Voglio andare a fondo. Per inciso, i giapponesi non muovono il coltello a sega, in avanti e indietro, ma da veri samurai, spingono sul retro del coltello e lasciano scorrere la lama».
L’uomo del kaiseki
Marchesi, a questo punto della sua carriera, è un po’ come l’uomo del kaiseki.
Il maestro giapponese di cucina che, superata la soglia dei sessanta o dei settanta, ha facoltà di consacrarsi al menù con cui si degusta insieme alla qualità suprema della materia, il vero artista.
Inevitabilmente, infatti, è solo dopo averne conosciuto tutti risvolti che si può usare la tecnica senza rimanerne vittime; solo onorando la vita attraverso la materia e le forme che la rendono poetica.
(le foto di Gualtiero sono di Luisa Valieri) testo di Nicola Dal Falco