In braccio a Santa Bianca e Sant’Emilia
Sono talmente legato a questo posto, minacciato dalle fauci di una cava e dalla nuvola di polvere che lo avvolgerebbe, che quando lo penso non so più se ho in mente il paesaggio o le foto scattate da Claudio.
Lo dico, perché la bravura del fotografo, trasformatosi in contadino e distillatore di oli essenziali, la sua τέχνη, coincide con tanta, fragile bellezza così come il podere di Santa Bianca, quello di Sant’Emilia e quelli vicini corrispondono ad un’immagine bella della campagna. Né falsa né banale.
Non gli sto facendo dei complimenti a buon mercato e un po’ pelosi vista l’emergenza, sto solo dicendo che in questo caso, per queste case, per queste persone e per questo spicchio di paesaggio italiano, etica ed estetica non sono cugine, ma sorelle.
Ciò che si è dipende da ciò che si fa e ciò che si fa sarà, volenti o nolenti, ciò che rimane.
Non basta più contemplare oggi per, poi, domani voltarsi dall’altra parte.
Se queste colline che separano a ondate Pomarance e Volterra, lambite dal fiume Cecina che ha ancora un letto in cui scorrere, un letto che meriti l’intimità di questo nome, sono rimaste un balsamo per gli occhi e una piccola, sudata fonte di ricchezza e di autostima per chi le coltiva, la ragione principale sta nel garbo.
Parola toscanissima, il garbo. Parola che deriva anche dal francese gabarit = modello, forma, curvatura di una nave.
A me pare che il franco-toscano garbo abbia molto a che fare con la cura dell’orto, la cura del bosco, la cura dell’architettura, la cura della bellezza, la cura dei sentimenti, la cura dell’acqua, della terra… insomma la cura del presente.
Per questo, vale la pena ed è un onore firmare, evitando che a Pomarance si apra una cava in mezzo alla bellezza, in faccia al sudore di chi è riuscito fin qui a conservarla.
Per salvare Santa Bianca e Sant’Emilia partecipate sempre e cliccate qui.
Nicola Dal Falco