… di Nicola Dal Falco.
Sono fortunato, ho un amico che suona il violoncello, lo suona nel golfo mistico, golfo due volte, del Teatro San Carlo di Napoli.
A Luca Signorini, primo violoncello, compositore e scrittore, dedico questi appunti sullo strumento che gli appartiene come l’acqua al pozzo e il sentiero ai passi.
Viola, tanto il fiore che il colore, nulla hanno a che fare con l’etimologia di violoncello. Essa affiorerebbe, invece, in una frase di fra’ Salimbene de Adam.
«Lo strumento che fa viù» scrive nella sua Chronica, usando uno stile colto e plebeo, un latino che nuota già nel volgare.
Fattosi frate a sedici anni contro la volontà del padre, gran viaggiatore, seguace di Gioacchino da Fiore, Salimbene offre un suono per indicare lo strumento che lo produce.
Una risposta spirituale e focosa come di certo era quel frate del Duecento.
Per i filologi, per chi di mestiere mette la cornice alle invenzioni verbali, viù si avvicina a viola grazie a tre verbi provenzali piular (piangere), miular (miagolare) e fiular (fischiare).
C’è però un’altra ipotesi, tra il rustico e l’arcadico, che tira in ballo il latino vitulus, vitello, e il verbo vitulare, sgambettare. La vitula è quello strumento a tre corde che nei convegni campestri ha lo straordinario potere di far sgambettare chi la ascolta.
La quasi certezza della maternità di vitula la darebbe l’alto tedesco fidula, vicinissimo al termine latino medievale e poi il francese viele, corrispondente alla viella, da cui viola.
Ma è solo così che possiamo intendere la parola che ci interessa? o potrebbe suggerire qualcosa che va al di là del suo stato anagrafico?
Natura del blu
E allora si torna al colore, non al viola, ma al blu. Il blu padre del cielo, della casacca dei marinai, il più freddo dei tre colori primari, tinta abissale di chi naviga sopra l’ignoto. Colore dell’attesa non del rimpianto, della quiete che agisce, riflette e conduce il pensiero al di là.
Esso corrisponde alla gola, al verbo. È il soffio che dà forma, separa e stabilisce le parti del mondo.
La sua parola chiave è purificazione.
Come le onde, come le nuvole, il blu colma l’orizzonte e lo rimescola. Parallelo al mondo e verticale. Un gorgo che trascina dentro e con forza risospinge in alto. La verità del blu è il bisogno di verità.
Il caricarsi di calma, nei momenti in cui l’anima è nuda, esposta al capriccio delle passioni e al vuoto, rende il blu il colore più vicino allo spirito, ad uno spirito in cammino, che comunica tra cielo e terra.
Il violoncello dipinge il blu
Kandinskij dice di essere in grado di vedere i colori attraverso i suoni e che nell’animo umano la vibrazione di una corda si ripercuote come un eco su tutte le altre.
Il viola, colore instabile, «sensuale, smorzato, triste» è suonato dal «corno inglese, dalla chiarina, dall’oboe e, nei toni più profondi, dai fiati» mentre il blu, un blu «celestiale», spesso, fondo, «concentrico» almeno quanto il giallo è, all’opposto, «eccentrico» ha a che fare con il violoncello.
Il violoncello dipinge il blu mentre «la tristezza aumenta».
Di quale tristezza si tratti è chiaro: una tristezza ispirata, paradossalmente serena.
La verità non ha nulla di divertente, illumina i chiaroscuri dell’esistenza e fa circolare aria.
Il blu della verità, il blu violoncello porta aria dal cielo.
Poi, Kandinskij incontra il blu scuro che dà «pace» e procura «una tristezza non umana».
Al blu scuro corrispondono «i suoni meravigliosi del contrabbasso, in forma solenne, profonda, come l’organo».
Dopo, verrà l’azzurro, il colore indefinito di albe e meriggi, ma il loro sospendersi segue i ricami del flauto.