di Nicola Dal Falco. Ragusa Ibla – Valerio Capriotti è, per i vini, i cocktail, i liquori e le tisane un maȋtre de plaisir, un risvegliatore di desideri liquidi, più o meno alcolici. Ad esempio, L’Amara, un cocktail figlio dell’omonimo digestivo, a base di arance rosse tarocco Gallo e tarocco Nocellara, che apre la colazione accanto all’alice marinata nello Zibibbo di Barraco, sormontata come una piuma da una lisca di triglia fritta. Il liquore tinge appena l’acqua tonica Lurisia, dando da bere alla menta, allo zenzero e al peperoncino fresco.
Amara e alice sono, dopo l’arrivo in aereo, il vero approdo in Sicilia, alla mensa dell’Ibleo, nel ristorante Duomo, dove Capriotti ricopre il ruolo di sommelier e direttore di sala. La pulizia di Amara, corroborante e affabile, più la brava alice e le nobili spoglie della triglia maggiore; quello che succede dopo trova papille e cellule grigie, attivate e ben disposte. Per non parlare della tisana di liquerizia, mandorle e tè bianco giapponese Silver Pakoe con cui pasteggiare davanti alla ricciola o lo spada che Sultano presenta su polvere di capperi, ceci croccanti e foglie di verdure amaricanti. Il tè bianco incarta la dolcezza delle mandorle, ne spreme quasi un latte, mentre la liquerizia si aggiunge alle note erbacee di macchia, rappresentate da capperi, ceci e verdure. In un predessert, è ancora il tè, ma questa volta del tè verde gun power cinese a mescolarsi con il sorbetto d’erbe citrine, accompagnato da una cialdina all’arancia che ha la stessa consistenza della lingua di gatto.
Nel ristorante Duomo, alla domanda «cosa beve»?, possono essere date diverse risposte.
«Volevo fare il cameriere»
La storia di Valerio Capriotti è una storia esemplare, dove la volontà può cancellare qualsiasi fatica e timore. «Volevo fare il cameriere» non sembra a prima vista una grande ambizione, ma può diventare, a seconda del carattere, la chiave del proprio destino. Capriotti voleva fare il cameriere piuttosto che chiudersi in un tran tran di ufficio, ai tempi in cui un posto fisso e grigio offriva almeno sicurezza. E poi, servire ai tavoli con stile è come danzare, l’ebbrezza del moto perpetuo, scivolando tra desideri e risposte, provando e oliando, infinite volte, il meccanismo della riconoscenza: il piacere di far piacere. Qualcosa che ha a che fare con altre esperienze come una brillante carriera di animatore nei villaggi turistici della Valtur e di Francorosso e quella di aspirante attore. «Ho frequentato la Scuola di Teatro – racconta Capriotti – avendo tra i miei insegnanti Gigi Proietti e Jack La Cayenna, attore, ballerino, caratterista, fantasista. La principale lezione che ho appreso è stata quella di usare i tempi giusti. La presenza in scena è tutta lì, nella capacità di tarare il messaggio, nel dire soprattutto ciò che vuoi che gli altri capiscano». Intanto, il cameriere-attore sceglie come primo proscenio La Toscanella in Piazzale degli Eroi, a Roma. Ha diciannove anni e un’incoscienza pari all’ambizione di gestire una trattoria che va così così. «Affronto la sfida dalla parte del gestore – continua Valerio – scontrandomi con il problema quotidiano di far quadrare i conti, ma dopo che il proprietario, visti i risultati, mi aumenta quattro volte l’affitto in tre anni, lascio. Lì, tra l’altro, ho il primo vero contatto con il mondo del vino». Inizia un periodo frenetico. Capriotti segue l’avviamento di una pizzeria a San Lorenzo che raggiunge, la sera, in motorino. Sottosopra, è il nome della pizzeria con diversi presidi Slow Food nel menu; durante il giorno, invece, accetta di occuparsi del caffè ristorante, appena aperto all’interno del Policlinico Gemelli. Riceve la proposta da un primario che ha conosciuto ai tavoli della Toscanella. Il locale al Gemelli consuma una media di settanta chili di caffè al giorno e il lavoro ha un interessante risvolto, costituito dai pranzi di lavoro tra medici, politici e amministratori. Di notte, in pizzeria arriva, dopo la chiusura, anche la proprietaria del ristorante dirimpetto. Il caso vuole che Gloria diventi la moglie di Valerio. Il ristorante Uno e Bino, in omaggio a Pinocchio, al burattino che diventa bambino, è il nuovo campo di battaglia per Capriotti. Spinto da Gloria, si rimette su i libri, quelli che aveva troppo presto trascurato. Approfondisce la storia e la geografia del vino, riconoscendo alla fine che adorare il lavoro non esclude il piacere dello studio. Il passo successivo lo porta Al Ceppo per seguire l’importante cantina. Un ristorante vecchio stile ai Parioli, dove il servizio è di prim’ordine anche se un po’ imbalsamato. Una sera, mentre sta fumandosi una sigaretta in strada, si avvicina Alessandro Roscioli e gli chiede se vuol collaborare con loro. «Gli rispondo di sì – ricorda Capriotti – e iniziano sei anni fantastici. Cosa imparo? A lavorare preciso e veloce, a fare numeri con eleganza. E siccome detesto rispondere: non lo so, uso i momenti liberi per leggere di nuovo e di più, seduto sulla fontana delle Tartarughe, a piazza Mattei». Ma la vera passione è quella di stare in sala. Ci riesce, tutti i giorni, dalle 19 alle 3, lavorando al Supper Club, a due passi dal Pantheon, dove si mangia semi sdraiati, in un’atmosfera vagamente spaziale, con menu “creativi” e molti spunti di intrattenimento. Orari ostici per chi ha famiglia. Si chiude così il penultimo capitolo, perché per il successivo c’è il trasferimento armi, bagagli e famiglia in Sicilia, da Ciccio Sultano.
Due grandi case: erbe e grappoli
«Oggi, continuo a guardare avanti – sottolinea Valerio – partendo da un risultato importante: essere diventato il responsabile della sala e della cantina di un grande due stelle. Da cameriere vintage, potenziale attore, studente di ritorno, migliore sommelier dell’anno secondo Paolo Marchi a direttore esperto. La mia voglia di sapere si è allargata, passando dal vino all’analcolismo perfetto, agli infusi e alle tisane. È come avere di fronte due grandi case matriarcali, di qui i grappoli e di là le erbe. «In mezzo un corridoio che le collega dove si riuniscono galateo, psicologia, materie prime e salute. Perché pasteggiare solo con bevande fredde? E l’immediato calore e colore di un infuso con le sue proprietà officinali? Il tè, in particolare, ti spalanca un orizzonte infinito di storie, di leggende, di saggezza». Prima di finire, domandiamo a Valerio qualche abbinamento tra i piatti dell’Ibleo e le miscele che cura di persona. Ecco due esempi: pasta con i ricci, limone e salsa vegetale leggermente affumicata + un blend di tè nero al gelsomino, tè nero affumicato e tè verde salato;
pasta con la bottarga, carote e pesto di erbe citrine + una tisana con cardamomo, cannella, foglie di lime kaffir. Insomma, se la ricetta permette di ricordare, gli infusi sono un suggeritore per il palato. «Mi chiedi come vedo Ciccio Sultano? Una montagna da scalare – specifica Valerio – su per la salita, ad ogni passo che fai, devi piantare delle radici profonde. Non si può sbagliare». Un’ultima confessione; dopo la fame e la sete, Valerio Capriotti vorrebbe capire meglio il fumo, quello dei sigari.