di Nicola Dal Falco
Ragusa Ibla – È difficile sapere quando una gallina è felice, ma non è poi così complicato renderle la vita un po’ più gaia. Se, per un attimo, penso a loro mi vengono in mente due fatti. Il primo è un ricordo, un vecchio ricordo dell’Armenia ancora sovietica, del viaggio in pullman fino ad un monastero, costruito sulla riva brulla di un fiume. Un fiume d’Asia, largo, senza argini, con una corrente rapida, color ferro.
In attesa dell’inizio della funzione, tra i presenti c’era anche un bambino di circa dieci anni che stringeva al petto una gallina bianca. La stringeva con gelosa tenerezza, poco prima che fosse sacrificata per chiedere aiuto a Dio, come si faceva fin dai tempi di Mosè.
La seconda cosa è il numero di giorni di vita, concessi a un pollo americano in attesa di finire sui piatti di una catena di ristoranti: trentacinque, né uno di più né uno di meno.
C’è una bella differenza tra la gallina allevata in casa e poi immolata per rendere grazie a Dio e il mese di vita di un pezzo di carne fritto.
L’abisso che separa le due situazioni riguarda il senso delle cose.
Basta riflettere a quello che facciamo per cambiare prospettiva, compreso il destino di un pollo.

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Da sinistra Carmelo Cilia, Ciccio Sultano, Paolo Moltisanti

 

È quanto è successo ai tre soci di L’Aia Gaia: l’agronomo Carmelo Cilia, selezionatore e affinatore di formaggi e salumi, il cuoco Ciccio Sultano e un laureando in agronomia, Paolo Moltisanti.
A Sciumara, non lontano dalla stazione di Ragusa Ibla, nella valle proprio sotto i giardini comunali, su un terreno di due ettari e mezzo, in parte terrazzato, è nato un fior di pollaio.
Un pollaio dove la notte segue il giorno, dove una stagione succede all’altra; dove le condizioni di vita e l’alimentazione non sono alterate; dove tanto le uova che la carne hanno un sapore certo, cioè naturale.
Qui, razzolano mille galline ovaiole, di razza livornese e siciliana insieme a cinquecento polli da carne, perlopiù collo nudo italiano, maculato italiano, comprese la livornese quando è buona per fare il brodo e la stessa siciliana.
Allevare galline può diventare una gaia scienza se l’utilità non sconfina nello sfruttamento, se la conoscenza tecnica, ricattata dal profitto, non prende il sopravvento come succede, ad esempio, con i polli Broiler, selezionati per sviluppare solo il petto e le cosce, incapaci a muoversi, perché lo scheletro come i polmoni e il cuore restano piccoli, insufficienti rispetto al peso. Animali, destinati a vegetare meno di due mesi, che vivono e crescono già pronti, già “confezionati” per gli scaffali e che, se solo provassero a fare qualche passo, rischierebbero un infarto o una frattura.

Mettersi in sintonia con la biosfera

«Colpa di mio nonno Giovanni, del suo esempio – spiega Cilia – se oggi allevo galline e se, in vita mia, non ho mai mangiato un pollo o un uovo comprati. Colpa del suo modo di stare al mondo, di conoscere la terra dove è nato e di chiedere alla natura solo quello che può dargli, non di più.
«Che senso ha, a parte il piacere della novità, di acquistare un pollo di Bress, conoscendo la gallina siciliana che ha rischiato l’estinzione o, peggio di assuefarsi ad un pollo qualsiasi, alimentato con mais francese? Preferisco seguire il microclima, ritrovare un filo con il passato da annodare al futuro.
«Quando, grazie all’entusiasmo di Ciccio Sultano e alla collaborazione di Paolo Moltisanti che, oltre a studiare agronomia come ho fatto anch’io, ha una particolare capacità nell’affrontare gli aspetti logistici di questo tipo d’impresa, è nata Aia Gaia, la parola chiave è stata sintonia.
«Mettersi in sintonia con la biosfera, aggiungendo alla passione il rispetto da cui tutto dipende. Ogni gesto deve essere sostenibile, pensato e attuato per il benessere degli animali, dal cui stile di vita deriva la qualità del cibo e la salute di chi lo consuma.
«L’attività della nostra azienda – precisa Cilia – è per il novanta per cento a ciclo chiuso, il che significa che offriamo alla galline un ambiente in grado di rigenerare le risorse che vengono utilizzate. Nei due ettari e mezzo, coltiviamo anche dei campi ad orzo, a frumento e a favino, privilegiando le vecchie specie autoctone. Moliamo noi o facciamo molare da un mulino a pietra in modo che le granaglie non siano ridotte ad un composto polveroso. C’è anche un orto che contribuisce con il suo surplus e d’estate mescoliamo alle granaglie il fieno».

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La siciliana

 

Meglio delle analisi serie che un certificato bio

La scelta di un’autosufficienza non rappresenta solo un’economia di scala, ma una prova di sincerità, in grado di avvalorare tutto il resto.
«Non abbiamo bisogno e non vogliamo una certificazione bio – continua Cilia – per il semplice motivo che lavoriamo in un contesto totalmente naturale. Ai certificati, spesso accondiscendenti in fatto di sostanze permesse, preferisco mostrare delle analisi serie in cui si dimostra l’assenza di prodotti nocivi».
Anche parlando di un pollaio si finisce col disquisire di urbanistica, di spazi necessari per abitare e per vivere.
Il piano abitativo di Aia Gaia prevede delle casette di legno dove vivono in media una quarantina di galline, dei posatoi realizzati con paletti di castagno e un pascolo, seminato a trifoglio, leguminose e graminacee.
Il prato è diviso in due e quando una parte si esaurisce, le galline vengono spostate nell’altra che ha avuto il tempo di rifiorire, concimata dai suoi stessi ospiti. Il ciclo è regolare e consente alle galline di fare il loro mestiere, becchettando l’erba, il verme, la pietruzza come natura comanda.
Le misure del prato, la presenza di posatoi e di alberi mantengono gli ospiti in buone condizioni fisiche, agili al punto di non farsi acchiappare facilmente da chi le accudisce e soprattutto, come è già successo di lasciare la volpe col naso all’insù.
«La reattività e la dieta delle nostre galline – aggiunge Cilia – ne garantiscono la buona salute».

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La livornese

 

La livornese e la siciliana

Tanto la livornese, bianca con una cresta rossa, quanto la siciliana, nera con sfocature color miele e una doppia cresta, sono galline ovaiole rustiche, in grado di affrontare il caldo e il freddo.
Allevate nel rispetto del loro bioritmo non superano il chilo e ottocento grammi, nel primo caso, e il chilo e trecento grammi, nel secondo.
Se non sono obbligate, riescono a produrre duecento uova per anno contro le trencentocinquanta di una gallina “industriale”.
Quelle centocinquanta uova in più dipendono dal fatto che, negli allevamenti intensivi non si spegne mai la luce, l’inverno è abolito e si fa uso di ormoni.
Un’aia gaia significa anche che le galline, prive di ghiandole sudorifere, possano fare dei bagni di sabbia e di terra per abbassare il calore corporeo e per liberarsi dei parassiti.
Gaia è anche la libertà di lasciare i galli in giro per il pollaio oltre al fatto di avere a disposizione delle uova gallate, cioè fecondate, e perciò prive di colesterolo cattivo.
Gaia, infine, è la cultura di vendere solo polli interi, resistendo alle sirene delle porzioni, riabituando comari e sposine, single e padri di famiglia, giovanotti e giovanotte a dividere il pollo secondo estro e necessità.
«Non è per fare poesia – conclude Carmelo Cilia – ma la sintonia di cui parlavo prima, nel rispetto della natura e delle sue consuetudini, finisce, come è giusto che sia, col coinvolgerci. Mi è difficile pensare alle galline come esseri stupidi, specialmente quando si lasciano accarezzare nel nido o quando accorrono appena ti vedono».
Un riflesso di questa familiarità tocca il lato selvaggio della campagna. Il buon vicinato con le volpi dipende anche dal fatto che le galline che non ce la fanno vengono lasciate su una roccia accanto al fiume, così come le gazze e le cornacchie hanno diritto a scendere e razzolare nell’aia.

Al link qui la ricetta di Ciccio  pubblicata su Ragusa24.

L’Aia Gaia
Contrada Arancelli, Ragusa – 97100
laiagaia4@gmail.com
Carmelo Cilia 366.1672828; Paolo Moltisanti 345.3485428;