… alle 3 e mezza del mattino al porto di Civitanova, ci sono le aste. Uno spettacolo che, se vi manca, deve essere visto.

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Ieri sera Paolo Paciaroni, Paolo Restaurant a Tolentino ci ha fatto conoscere ed assaggiare i furbi. Avviluppati nei miei grandi spaghetti 600.27, tocchetti di triglie, pomodorini grigliati e la stessa mollica dei pomodorini c’erano dei polipetti quasi invisibili. Appunto i furbi. Questi animaletti, che animano il nostro mare, sono ambitissimi e sono i primi ad essere venduti.
Sbirciando nelle cassette di pesce, in cucina, presumo che mangeremo sgombri, alici, triglie e furbi. Simone Santucci della Cantina Rio Maggio comincia con il suo spumante di Passerina e il suo rosato di Pinot nero. Siamo ‘frizzanti’ e pronti per accogliere una sorpresa non presente a menu.

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Un bignè ripieno di crema densa, mantecata di molo essiccato, con sopra dei pomodori secchi. Un boccone da dividere in due per poi leccarsi le dita. Molo viene chiamato tutto il pesce, merluzzo ecc… che viene essiccato come lo stoccafisso.

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Dopo il bignè raggiungono me e Carlo, Annarita e Gianluca Mirizzi. Conoscono Paolo Paciaroni solo di fama. Si fermano al mio tavolo. Condividiamo la serata come facciamo abitualmente su facebook. Siamo una trentina di persone, forse di più. Il ristorante è pieno. Paolo ad ogni piatto esce della cucina, accaldato e felice. L’ho definito mesi fa ‘il cuoco felice’. Continua ad esserlo. Anzi migliora.

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Lo dimostra il primo degli antipasti che è una cips di pane ai cereali con sgombro in olio cottura (daie daie imparerò anch’io a farla bene!) cipolla rossa stufata e una fettina di ravanello. Dispongo tutti gli ingredienti a coprire l’intera cips di pane e, sempre con le mani, assaggio. Ma quanto è buono lo sgombro se ben cucinato?

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Il secondo antipasto, Insalata di puntarelle con alici e burrata, è un po’ diverso da come descritto a menu. Si cambia spesso in ‘corso d’opera’ quando alcuni ingredienti proprio non si trovano. ‘Potevo diventare matto a cercare le puntarelle? Non ci sono e basta’ dice Paolo ‘Le ho sostituite con i friarielli’. Che sanno amabilmente di cimette di rapa. Questo piatto è una costruzione a strati di cui Paolo ci fa vedere dei bozzetti. Sotto i friarielli, sopra le alici appena grigliate e, quasi a coprire, la burratina. La sala mugola in silenzio. Considero questo, sempre, un buon segno.

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Dopo i racconti di vino di Simone Santucci, Carlo racconta i miei spaghetti grandi 600.27, protagonisti della serata insieme ai vini di Simone. Spiega ed entra nella sua terra. Parla di grani come solo lui sa fare. Sono molto contenta che questa sera sia lui a prendersi un po’ di riflettori. Gli spaghetti grandi con i furbi strappano l’applauso e invitano a fare il bis. 

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Stiamo bevendo la Passerina ferma di Rio Maggio. Per il piatto forte, che continua a chiamarsi così, stanno stappando un Pecorino a produzione limitata. Con coraggio, perché ci vuole coraggio a proporre piatti tradizionali fatti a regola d’arte, le triglie di fango arrivano nel piatto, nel sughetto rosso e con tutte le spine. Accanto a loro c’è un soffice e gustoso tortino di patate e salvia. Una foglietta di salvia fritta ricorda l’origine poverissima del piatto. ‘La triglia di fango è grassa’ ci spiega Paolo ‘ la salvia allevia il suo sapore forte’. Ripassano le triglie e si fa un altro bis.

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Piccola pausa per ‘pulire la bocca’ con una tartare di pesche che è quasi un gelato. I coniugi Mirizzi sono felici che li ho convinti a venire ad assaggiare Paolo e felici di conoscerlo. Anche loro, come me, ne ‘mangiano’ tanti in giro di cuochi. Siamo ben allenati.

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Il dolce che chiude la serata non ha il mare nel piatto ma le more di gelso. Sono intere e lucide poste sopra un cheesecake immacolato. Con le more torniamo alle bollicine e beviamo una malvasia che si chiama Kantico.

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Usciamo, la serata butta sul fresco. Cerco di riunire tutti per una foto di gruppo. Per fortuna che c’è anche Gianluca che mi aiuta. In due, però, come fotografi non valiamo mezzo. La foto non è bellissima ma siamo noi!