di Nicola Dal Falco. Pietrasanta – Non avevo ancora incontrato un uomo così cordiale e mai melenso, piacevole conversatore, altrettanto energico e sottile nei ragionamenti, ma soprattutto generoso con i ricordi come Franco Francesconi.
Uno che li coglie con prontezza di riflessi, collezionando quasi di tutto, mettendo al sicuro in soffitta e in altri luoghi la propria e altrui memoria.
Mi ha, quindi, divertito sentirgli raccontare dell’Incavolata, il titolo concretissimo di un piatto pietrasantino e toscano (a Lucca è nota come Farinata e in Alta Versilia prende il nome di Intruglia) che, pur conducendolo in estasi, proprio non si addice al suo carattere.

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Di quella generosità verso i segni che la vita semina in giro, oltre alla propria sensibilità, qualcosa si deve pure alla storia familiare, al nonno rigattiere che, nel primo dopoguerra, vinse all’asta il contenuto dei magazzini della fabbrica di proiettili di Vittoria Apuana, separando l’ottone e il ferro dalla polvere da sparo.
Un bel colpo, come si dice, sorretto da un’evidente capacità organizzativa. Ogni giorno, il nonno, originario della montagna pistoiese, metteva a disposizione dei suoi “cercatori” una cinquantina di barrocci a mano per fare il giro e tornare con stracci, carta, pezzi di metallo… tutto quanto fosse recuperabile e riciclabile.
C’era gente che faceva il viaggio da Massarosa a Pietrasanta per lavorare con un carretto gratis e la merenda assicurata a fine giornata. Un’altra delle caratteristiche di quella ditta era, infatti, di offrire, verso le diciassette, quando rientravano i carretti, caffelatte e pane.
Poi, col tempo, l’attività cresce grazie all’impegno dei genitori di Franco, Goffredo e Ilva, comprendendo il settore dei macchinari per la lavorazione del marmo, il movimento terra e l’aria compressa, fino a che, per una serie di coincidenze e grazie a un parente scultore e modellatore, si ricongiunge con la vocazione artistica di Pietrasanta, città del marmo e, da quel momento in poi, anche della ceramica.
Nel 1979, Franco Francesconi, laureato in Economia e Commercio, apre l’omonima fabbrica di ceramiche, che esiste ancora anche se non ha più nulla a che fare con il fondatore.
Con lui collaborano molti artisti tra cui Philip Pavia, Pietro Cascella, Isobel Sokolow, Emanuele Gori Londra, Daphne Du Barry, Jorgen Haugen Sorensen , ed è il primo a utilizzare la tecnica raku oltre al fatto di proporre agli artisti di cuocere il modello per i bronzi anziché distruggerlo.

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È anche autore di un manuale sulla ceramica, Ceramica facile edito da Colorobbia e tradotto in inglese.

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Un artigiano vero, insomma, uno che rappresenta il punto di vista di Anassagora secondo cui «tu pensi quando hai le mani».
Ed ecco la ricetta dell’Incavolata così come si faceva in casa Francesconi a Pietrasanta.

Un volta la settimana
di Franco Francesconi

Quando ero ragazzo, a partire dal mese di novembre, l’Incavolata era un piatto che veniva preparato almeno una volta la settimana fino alla Quaresima.
La ricetta di mia madre è molto semplice, ma molto saporita e di grande effetto.
Fate un generoso battuto di cipolla, aggiungendo aglio, prezzemolo, sedano, carota e un piccolo peperoncino.
Preparate a parte un minestrone con cavolo nero, patate, fagioli borlotti e unite a freddo il battuto con un po’ di sale.
Una volta si irrobustiva, mettendo anche un pezzo di cotenna di prosciutto, tagliata a dadini.
Non appena sarà pronto il minestrone, versate la farina gialla e un po’ d’olio extravergine d’oliva. Attenzione, la consistenza deve rimanere molto morbida.
Cuocete, infine, per circa quaranta minuti.
Questo era uno dei miei piatti preferiti e, se ne avanzavano un paio di porzioni (in genere la mamma ne cucinava di proposito in abbondanza) il giorno seguente o i giorni successivi l’Incavolata veniva tagliata, ormai fredda e dura, a fette spesse un dito e fritta in olio bollente o arrostita sulla gratella.
Un vero piatto da re.