di Nicola Dal Falco. «Do affinché tu dia», la celebre frase che il diritto romano riserva ai contratti innominati e che la vita pratica invoca quando si fa mercimonio del proprio interesse, può anche raccontare un’altra storia.
Una storia dove lo scambio di qualcosa non palleggia, arenandosi nelle mani dei due interlocutori, ma raggiunge il dito di un terzo che non si conosce.
Spesso gli oggetti celano una forza nativa sia per la materia e il modo con cui sono fatti sia per i destini che accompagnano.
Quest’anello d’oro basso con un’unica pietra rossa riunisce tutte quelle qualità. Una ricchezza che percepisci solo quando ne conosci le vicende.
Accadde, quindi, che tornando, dopo vari anni, in casa di un guaritore, toccato dalla doppia sorte di essere molto apprezzato e appena vedovo, si vide offrire l’anello con la naturalezza di un dono importante, così necessario da sembrare dovuto.
Stretto al medio, accettato senza ricevere spiegazioni, l’anello faceva bella figura, dava diritto a essere curiosi.

l'anello-home
Forse, l’attenzione che provocava dipendeva anche dalla forma della mano e dal modo di indossarlo.
Passò altro tempo e nonostante avesse perso di vista quel signore, ricevette una proposta di lavoro nella stessa città. Era un incarico indefinito e molto impegnativo. C’erano delle responsabilità e degli irresponsabili, pronti a farle pagare fino in fondo la buona volontà.
Un giorno, assunse una persona per farsi aiutare. Era una ragazza sveglia, capace di adattarsi alle situazioni. Il lavoro procedeva anche se le prospettive restavano vaghe e in bilico.
La giovane donna aveva un figlio e questo fatto dava stabilità al rapporto di lavoro.
Tra le due si era istaurata una sorta di reciproca benevolenza, degna di qualche confidenza.
Parlando più spesso insieme, scoprirono che la ragazza abitava all’ultimo piano, nello stesso palazzo dell’uomo, dotato di non comuni influenze, alimentate nel nome di San Cipriano.
Poi, arrivò la domanda, una domanda che sonnecchiava da tempo: «Dove hai trovato questo anello»? – le disse la ragazza.
«È stato il signore del secondo piano a insistere per darmelo».
«Quell’anello è mio – rispose – l’ho fatto montare, utilizzando un orecchino di mia nonna. Quando aiutò mio figlio non volle essere pagato, ma chiese qualcosa a cui ero affezionata».
Dall’orecchio al dito che da vent’anni non smette di portarlo, si racconta un’altra versione del «do affinché tu dia».