Una siciliana in cucina: il dolce di Santa Lucia, di Nicola Dal Falco
Credo che non ci sia modo migliore per introdurre la ricetta di Valeria Leotta, dedicata a Santa Lucia che ricordare il suo martirio, scoprendo che diventa la Santa degli occhi molto dopo che era salita sugli altari.
Nel martirologio di Lucia gli occhi non compaiono mai; è forse l’unica parte del corpo virginale a non essere stata offesa dal suo aguzzino, il governatore Pascasio.
La storia di Lucia inizia con un pellegrinaggio alla tomba di Sant’Agata dove Lucia spinge la madre, Eutichia, a toccare il sarcofago con fede per guarire da una prolungata crisi emorragica.
Mentre il miracolo si compie, Lucia cade in un sonno profondo e sogna: Sant’Agata la informa dell’avvenuta guarigione della madre e le predice il futuro martirio.
Sulla strada del ritorno Lucia chiede alla madre di donare ai poveri tutti i suoi averi. La madre le risponde che potrà disporne solo alla propria morte. Prima di arrivare a Siracusa, l’insistenza della ragazza ha successo e la madre acconsente.
Così facendo le due donne non solo disperdono il patrimonio familiare, ma anche la dote della ragazza.
Il fidanzato, all’oscuro dei fatti, si insospettisce per i continui rinvii del matrimonio e denuncia Lucia al governatore.
Lucia affronta l’interrogatorio, conferma la propria scelta e la sua fede in Cristo, ribattendo argomento su argomento con grande vigore dialettico.
Irritato, il governatore tenta un esorcismo per liberare la ragazza dallo Spirito Santo. Per aver delapidato la futura dote, le infligge la punizione del lupanare; la costringe, secondo la regola del contrappasso, a offrire se stessa.
L’ordine, tuttavia, non può essere eseguito, perché nessuno riesce a spostare la giovane, a farla alzare. Come l’animo anche il corpo di Lucia è inamovibile. Lucia passa, allora, attraverso diversi supplizi, compreso il fuoco. Tutto è inutile.
Alla fine, non resta che la spada e viene decapitata.
Solo tra il Trecento e il Quattrocento, l’iconografia della santa si arricchisce dell’immagine degli occhi, posati in una coppa o su un vassoio.
La svolta dipende dall’etimologia del nome: Lucia – luce – nata alle prime luci dell’alba…
Secondo il calendario, Lucia sarebbe stata martirizzata il 13 dicembre, nel giorno più buio dell’anno, quando allora cadeva il solstizio d’inverno.
Salvati dalla carestia
di Valeria Leotta
La cuccìa è un piatto a base di grano cotto che è tradizione preparare in Sicilia il giorno di Santa Lucia.
La santa, originaria di Siracusa, è venerata in modo particolare anche a Palermo, dove la devozione dei fedeli si concretizza in una curiosa usanza rispettata da tutta la cittadinanza: il 13 dicembre, giorno a lei dedicato, non si mangiano pane, pasta e altri cibi realizzati con la farina di frumento.
Un’usanza antica sulla cui origine si narrano varie leggende. La più diffusa racconta che, durante una tremenda carestia che aveva messo in ginocchio la città, il giorno di Santa Lucia approdò al porto di Palermo una nave carica di frumento.
Stremati dalla fame, i palermitani non persero tempo a macinare il grano, limitandosi a lessarlo e a mangiarlo condito semplicemente con sale e olio. Da quel giorno la festa della Santa, alla cui intercessione era stato attribuito il miracolo, fu celebrata con particolare devozione, rispettando l’obbligo di non portare a tavola cibi a base di farina.
Col passare del tempo, si cominciò a condire il frumento bollito con crema di latte o di ricotta, e il dolce così ottenuto si diffuse in buona parte della Sicilia con il nome di cuccìa, parola che si fa derivare dal termine dialettale còcciu, cioè granello, chicco.
La leggenda che giustifica l’invenzione di questo piatto è suggestiva e fa parte delle nostre tradizioni e della nostra cultura popolare, ma c’è anche da dire che il consumo di frumento bollito e condito ha sempre avuto funzione propiziatoria, e che è tipico delle più antiche civiltà cerealicole mediterranee, tanto da accomunare i paesi del Medio Oriente e buona parte del bacino del Mediterraneo.
Ricordi d’infanzia
Quando eravamo bambini, il 13 dicembre, inevitabile tappa di avvicinamento al Natale, era il giorno in cui, di anno in anno, si rinnovava la magia di quel dolce strano, fatto di chicchi un po’ gommosi avvolti in una crema di latte dal prepotente aroma di limone.
In bocca, la rotondità dei chicchi si scontrava con le scaglie di cioccolata tagliate al coltello e, quindi, appuntite, ma la fusione di questi sapori che si amalgamano grazie a un’alchimia niente affatto casuale dava grande soddisfazione al palato.
Cuccìa con crema di latte
Ingredienti per 6/8 persone:
300 gr. di grano;
una manciata di ceci;
1 litro di latte;
80 gr. di amido di grano;
220 gr. di zucchero semolato;
La scorza di due limoni non trattati;
100 gr. di cioccolato fondente in scaglie;
granella di pistacchio;
sale.
Preparazione
Mettete a bagno il grano e i ceci per un paio di giorni, cambiando l’acqua ogni 24 ore. Trascorso il tempo indicato, sciacquateli e lessateli in abbondante acqua con un pizzico di sale.
Quando saranno cotti (dopo circa un paio d’ore), sgocciolateli e lasciateli raffreddare.
Mentre il grano cuoce, dedicatevi alla preparazione della crema di latte: dopo aver sciolto l’amido in poco latte freddo, incorporate il resto del latte, lo zucchero e la scorza dei due limoni. Mettete il tegame sul fuoco e lasciate addensare la crema, mescolando continuamente.
Quando si sarà addensata, lasciatela intiepidire e, poi, amalgamatene una parte al grano, che avrete disposto in una ciotola.
Versate il resto della crema sulla superficie, in modo da ottenerne uno strato piuttosto spesso. Quando la crema si sarà raffreddata del tutto, cospargetela con il cioccolato a scaglie e la granella di pistacchi. La granella di pistacchi è una mia piccola variazione sul tema che, oltre ad arricchire il sapore del piatto senza essere invadente o modificarlo, ne arricchisce l’estetica con il bel colore brillante.
Valeria Leotta
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