di Nicola Dal Falco
Fumava. Fumava seduta sopra la valigia, voltando le spalle ai binari, appesa alla voce, simile a una carezza, che dal telefonino le faceva socchiudere gli occhi, abbassare la fronte e porgere la nuca, mentre accanto tremavano le pozzanghere per qualche goccia di pioggia.
D’incanto in incanto, anche la capra crogiolava immobile i pensieri sopra un cassone di ferro.
Non un relitto qualsiasi, ma un cubo di ruggine, decoro e mistero di una di quelle discariche che segnano il possesso del campo più delle stesse piantine, allineate nelle quattro direzioni cardinali come ordinate sonnambule.
Ma fu alla terza fermata del treno, passate Chiusi e Castiglione del Lago, che la vigilia di Pasqua ebbe il suggerimento di un’immagine, di una breve sequenza in cui giustapporre fato e destino, incarnati da una gazza e da una tortora, decise a disputarsi un metro o due di confine.

gazza, fonte web

Notturna e lunare, la prima, grigia livrea del mattino, la seconda; il loro scontrarsi di petto e di becco, solo accennando a un affondo, senza mai veramente toccarsi, aveva come unico risultato di spostare in qua e in là la contesa.

tortora, fonte web
E questo andirivieni avrebbe potuto anche durare in eterno se, alla fine, la tortora non avesse deciso di posarsi sul cavo dell’alta tensione, volando via con una certa aria di supponenza.
Che, poi, la gazza considerasse la cosa come l’effetto di una meritata vittoria, non saprei dirlo con certezza.
Continuò a fissare la tortora per un po’, dal basso verso l’alto, contenta, ma non persuasa di occupare ancora il posto migliore al mondo.