Partenza all’alba. Destinazione Venezia. Scendiamo a Santa Lucia. “Dov’è la Fondazione Peggy Guggemheim?” ” Sé lontan.” Rispondiamo: “No gavemo freta. ‘Na volta tanto.” Fra le calli e su per i ponti andiamo a piedi. Senza fretta. Ogni tanto, raramente, un prezioso privilegio. Come una carta da gioco fortunata.
Venezia banale? Scontata? Sempre uguale a se stessa? No, se sapete cercare e scoprire come noi. Noi siamo io e la mia amica Monica Ranzi. Le foto sono le sue.
Lei innamorata dei colori mi porta vicino l’Accademia delle Belle Arti pensando di stupirmi. Conosco da anni Arcobaleno Pigmenti, San Marco 3457, dove i verdi hanno un milione di sfumature così come i blu…
… e tutti i colori del mondo. Non c’è un rosso uguale all’altro. Colori che mi portano indietro nei ricordi quando giovane e appassionata aspirante attrice bussavo, timidamente, alle porte dell’Accademia per poi rifugiarmi qui, in mezzo ai colori, a cercare sfumature nella mia anima.
Poi Monica, indottrinata dalla sua musa Olimpia Biasi, mi porta alla Fondazione Guggenheim. L’affascinante, diciamo bellissimo, uomo qui sotto si chiama Tancredi Parmeggiani. Un artista tormentato, ma chi non lo è stato, legato alla Peggy Guggemheim da un rapporto profondo.
Sarà lei personalmente a regalare e a divulgare i suoi quadri. La mostra di intitola: la mia arma contro l’atomica è un filo d’erba.
Ancora colori per me e Monica con i quadri di Tancredi.
Più di 90 opere che rappresentano la sensibilità delicata dell’artista. Quella che Buzzati definì ‘sensibilità soffusa’.
Creando, appunto Buzzati, il mito di Tancredi. Giovane artista dalla vita troppo breve.
Chissà perché la storia di Tancredi non ci rattrista. I suoi quadri esprimono la gioia della vita e della natura. Usciamo e prendiamo un vaporetto. Arrivare a piedi al Vecio Fritolin non ci conviene.
Ed ecco che la ‘solita banale’ Venezia riesce a sorprenderci ancora. “Ma è un barcone frutta e verdura?” Gli orti di Venezia/ambulanti/naviganti. Un mercato delle erbe galleggiante e colorato.
Il sorriso di Irina ha i colori contagiosi di Venezia. Mentre il Vecio Fritolin è tutto bianco. Ed è bellissimo. “L’architetto chi è?” domanda Monica e lei: “Sei tu. Ho seguito i tuoi consigli”. “Mi hai ascoltata un volta tanto? E’ vero. Tutto è come l’avevo immaginato”. Poi Irina ci presenta i suoi chef:
Pieluigi Lovisa, chef di nota esperienza e Raffaele Minute giovane collaboratore anche in pasticceria.
Insieme, Lovisa in primis, hanno dato ‘una mano di bianco’ alla cucina del Vecio Fritolin.
Io e Monica possiamo testimoniare. Convinte.
I muri, le tovaglie, i quadri sono bianchi ma la cucina piano piano si colora. Cominciamo con il classico baccalà mantecato con sfogliatine di pane al nero di seppia, perfetto.
Passiamo ad un piatto da non dimenticare, capesante con panatura di nocciole, crema di zucca, pane alla zucca e zucca grigliata. Tante varianti di zucca per queste capesante.
Varianti anche per il branzino che è impanato al tandori, leggeremente grigliato, e accompagnato con un fiore di zucca ripieno e verdurine di stagione.
Una parentesi va aperta e chiusa per questo cestino di spaghetti con fritto misto di pesce e verdure e polenta bianca fritta. Il cestino di spaghetti è commestibile e lo chef lo fa così: lessa gli spaghetti li mette a modellare su una ciotola e li passa al microonde biscottandoli.
Irina insiste e vuole che assaggiamo anche il menu vegetariano. La cocotte di verdure di stagione con orzotto e uovo in camicia è uno dei tanti piatti del menu. Molto buono.
Ma gli occhi di Monica brillano ed anche i miei quando la nostra ‘fritolina’ come la chiama Paolo Marchi ci porta il semifreddo di torroncino e cioccolato Domori. Qui, per favore, un minuto di dolcissimo silenzio.
Baciamo e abbracciamo Irina. Lasciamo Venezia con i colori del primo pomeriggio.
Quando torniamo Monica?