Come si dice? Tutte le strade portano a Roma. Lo scorso giovedì, chissà perché, sono passata per Spoleto. Proprio all’entrata di questo splendido centro umbro, sulla destra, c’è un bar. Il mio pipì/stop per prendere un buon te caldo. Parcheggio e chi ti vedo? Michele Pidone.
Che mi offre il te. “Il mio nuovo locale è proprio qui. Tu non sei mai stata vero?” ” Dai andiamo da te!” Accanto al bar di cui, chiedo venia, non ricordo il nome c’è una chiesa antica transennata. Precauzione terremoto che qui si è sentito bene ma non ha fatto danni. Lampone, così si chiama il ristorante di Michele è dalla parte opposta, a sinistra. All’interno di una chiesa sconsacrata.
Un luogo antico dove si respira il passato, il presente e da Aprile con Michele il futuro. Ancora qualche lavoro da fare, poche cose da sistemare ed è perfetto. Potrebbero entrare Arlecchino e Colombina o il Gatto e la Volpe con Pinocchio e sarebbero nel palcoscenico perfetto.
Lampone gioca con ironia sugli arredi. “Sono idee di mia moglie, io cucino e basta.” Idee divertenti come la ‘mannaia minacciosa’ infilzata sulla porta della cucina a vista. Davanti a tanti ricordi, piccole opere d’arte c’è il cartello qui sotto. E’ molto presto e non giungono ancora ‘odori dalla cucina’. Me li immagino sfogliando il menu. Conosco Michele da quando era ‘piccolo’. Ho sempre ammirato il coraggio di rimanere legato alla sua terra.
Qualche volta non è così semplice come può sembrare. Da quando c’è Lampone tutte le guide si sono accorte di lui. Ne sono fiera e felice. “Ma perché Lampone?” “Sempre mia moglie. E’ un nome che rimane impresso. Semplice e di effetto.” Concordo. Mi appoggio al bancone di Lampone. Da questo lato dà proprio l’idea di stare in una vecchia e calda osteria. Mi piacerebbe fermarmi per pranzo ma Roma mi aspetta.
Sto per andare ed arriva qualcuno. Il panettiere artigiano porta il pane. Cominciano i ‘primi odori della cucina’. Michele mi abbraccia e va a lavorare. Altri pani aspettano di essere infornati.