Valeria Leotta, olivicoltrice e cuoca, parla della caponata come di una metafora esistenziale. Innanzitutto, la schizofrenia di una ricetta che varia da provincia a provincia, da casa a casa e che, alla fine, ne amplifica il culto; poi, l’esercizio di pazienza nel friggere i cubetti di melanzana, quasi una pratica zen e, infine, la presenza della salsa agrodolce che ci fa sentire meglio al mondo, sperando di averlo capito.
Tanto di dolce, tanto di agro, così va la vita, anche se dovremmo ricordarci la percentuale di assurdo che accompagna ogni giornata. Fatto sta che la caponata ha un tasso di umanità altissimo, intendendo per questo la sua forte capacità di commuoverci.
Varrà, allora, la pena, di domandarsi qualcosa sulla melanzana, sul suo daimon.
La signora si affaccia sul Mediterraneo orientale intorno al XIII secolo, proveniente dall’Asia meridionale, passando per la Persia. Solo un secolo dopo, raggiunge le coste dell’Italia meridionale e della Spagna, dapprima usata come pianta ornamentale.
Qualcuno dice che, all’inizio, per il fatto che tagliandola si annerisse, fosse immediatamente catalogata tra gli alimenti sospetti, diabolicamente pericolosi. Iniziarono i carmelitani, in alcuni conventi del Sud, a considerarla alla stregua di un comune ortaggio.
Nei sogni sembra essere legata alla maternità e alla paternità; sognare un campo di melanzane annuncia grandi guadagni. Forma e rotondità ne fanno un segno di prosperità, mentre il colore viola sarebbe indizio di arroganza, adulazione e perfidia.
Qualche tempo fa, per il suo evidente riferimento sessuale, ha scatenato prese di posizione sul web fino a essere censurata per l’uso molesto. Mala tempora currunt, se la volgarità digitale si sposa all’ipocrisia digitale.
Consoliamoci, ricordando che la melanzana: ricca di fibre e povera di calorie, regolarizza la funzionalità epatica. È considerata uno stimolante dell’attività del fegato, del pancreas e dell’intestino. Favorisce, inoltre, la diminuzione del tasso di colesterolo del sangue, stimola la diuresi ed è blandamente lassativa.
Nicola Dal Falco
La caponata: una, nessuna e centomila
di Valeria Leotta
Per me la caponata è una: quella di casa mia, quella preparata con gli ingredienti e i procedimenti della ricetta che intendo raccontarvi. D’altro canto, la caponata è anche centomila, perché tante sono più o meno le ricette per la sua preparazione a seconda delle zone, delle famiglie, dei ristoranti o delle salsamenterie che la elaborano. Potrebbe anche essere nessuna, nel caso non riusciste a ricavarvi il tempo necessario a prepararla: non si tratta di un procedimento complicato ma, nel mettersi ai fornelli, bisogna tener conto del fatto che le melanzane, una volta fritte, riducono notevolmente il loro volume e che, di conseguenza, la frittura è piuttosto lunga.
A prescindere da queste considerazioni, quando la preparo, mi viene in mente che la caponata è un po’ come la vita: ingredienti che sembrano accostarsi casualmente conditi con una salsa agrodolce che le conferisce carattere e significato. E il segreto direi che è proprio nella miscela di aceto e zucchero. Come nella vita.
Ingredienti
2 kg. di melanzane nere (tonde)
sedano
olive verdi
capperi
1 cipolla
salsa di pomodoro (la quantità necessaria a “colorare” la preparazione)
6 cucchiai di aceto (circa)
2 cucchiai rasi di zucchero (circa)
sale
olio extra vergine di oliva
mandorle tostate e tritate
Preparazione
Lavate le melanzane, privatele delle estremità superiore e inferiore, e di parte della buccia. Riducetele, quindi, a dadini e tuffatele in acqua e sale per almeno mezz’ora. A questo punto, tagliate a rondelle un paio di coste di sedano, che lesserete in acqua salata, snocciolate le olive e dissalate i capperi.
Dopo aver fritto (pazientemente) le melanzane in olio extravergine di oliva, fate appassire la cipolla tritata in poco olio e aggiungete nella padella le olive a pezzetti, il sedano, i capperi, la salsa di pomodoro e un po’ di sale.
A questo punto, dedicatevi all’agrodolce, versando nella padella i due cucchiai di zucchero e, dopo aver alzato la fiamma, i sei cucchiai di aceto. Per ultimo, aggiungete le melanzane e amalgamate delicatamente gli ingredienti. Assicuratevi, quindi, che l’agrodolce sia equilibrato, ricordando che se nella vita la prevalenza dello zucchero sarebbe preferibile, non sempre è auspicabile nella preparazione di questo piatto dalla valenza metaforica.
La caponata va servita fredda (come la vendetta), preferibilmente dopo averla lasciata riposare per alcune ore e averne cosparso la superficie con una pioggerella di mandorle tostate e tritate (e aver meditato sul fatto che anche nella vita la presenza di qualcosa di croccante è sempre interessante).
Valeria Leotta
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