L’Amarone è certamente uno dei vini simbolo del bel paese, con un passato ricco di storia e poesia, un presente lucente ed un futuro ancora da scrivere, che di sicuro sarà fascinoso ed intrigante.
Il suo terroir d’elezione è la Valpolicella, fantastico lembo di terra veneta a pochi passi da Verona e dal Lago di Garda, compresa tra il Fiume Adige e la Val d’Illasi.
Tra colline scoscese, talvolta terrazzate con dei muretti a secco detti “marogne”, e una fetta di territorio pianeggiante, le viti affondano le proprie radici in suoli composti da calcare e argilla con una buona presenza di pietre.
Le uve che danno vita a questo nettare sono principalmente la Corvina, il Corvinone e la Rondinella più altre uve locali a bacca rossa, non aromatiche, per un massimo del 10%.
In passato non esisteva l’Amarone, è nato grazie ad un errore in cantina. Non si riusciva a controllare la fermentazione e di conseguenza venivano fuori dei vini secchi, amari e non dolci come il più importante Recioto della Valpolicella, dolce e con la stessa componente ampelografica del fratello minore, l’Amarone.
La leggenda narra che nella primavera del 1936, il capocantina della cantina sociale della Valpolicella, Adelino Lucchese ritrovò una botte di Recioto ormai dimenticata e decise di spillarne un po’ per capire cosa fosse successo. Dopo averlo degustato, con aria incredula e stupita esclamò “l’e’ Amarun”, è Amarone.
In realtà era successo che con il passare del tempo il vino aveva continuato a fermentare, fino a trasformare in alcol tutti gli zuccheri.
Da questo processo deriva un prodotto particolarmente elegante, corposo e strutturato, con sentori fruttati di ciliegie e amarena, ma anche di altri frutti rossi, accompagnati spesso da note eteree e di piccola pasticceria. Il palato è caratterizzato da uno spunto amaro che se ben gestito conferisce a questo nettare una buonissima bevibilita’ nonostante l’importante gradazione alcolica, non meno di 14% ed una grande acidità che lo rende capace di proverbiali invecchiamenti.
Siamo di fronte ad un passito atipico, che ha la particolarità di essere secco e non dolce come la stragrande maggioranza dei passiti.
La raccolta è manuale e avviene generalmente nelle prime due settimane di Ottobre; durante la vendemmia si fa una prima selezione, preferendo grappoli spargoli, al fine di favorire l’areazione degli acini e di conseguenza prevenire la formazione di muffe. A questo punto, le uve vengono trasferite all’interno di appositi plateaux, in dei fruttai areati, dove restano per circa 120 giorni; questo passaggio è molto importante, tanto da condizionare l’intera costruzione della cantina, infatti, una volta si individuava prima il posto migliore per la nascita del fruttaio e poi veniva costruita l’azienda vera e propria. Il procedimento conferma che stiamo parlando di un vino passito, di uve che dalla raccolta al momento della vinificazione perdono dal 40 al 60% del proprio peso, ciò spiega sia l’importante tenore alcolico, avendo un’alta concentrazione di zuccheri, sia il costo medio più elevato di tanti altri vini, costo imputabile anche ad un tempo di affinamento più lungo.
Per alcuni un grande Amarone potrebbe essere considerato un vino da meditazione, da bere senza accompagnarlo ad un cibo. Personalmente non condivido la definizione di “vino da meditazione”, perché il vino, come mi è stato “insegnato”, deve farci godere e non pensare; godere di un momento speciale, una belle serata, una grande cena.
Insomma, con chi o perché poco importa, sarà sempre il momento adatto per degustare un grande calice ed è per questo che sarà sempre il momento giusto per una grande bottiglia di Amarone.