Atterro a Catania come tante volte accade nella mia vita e Pino Daniele mi sussurra nelle orecchie le parole più belle di ‘Amore senza fine‘. Sarà un viaggio brevissimo e gli occhi dell’amore faranno sembrare tutto più bello di quello che già è. Durante i tre, sono stati tre?, isolamenti forzati ho pensato spesso a Ortigia. Adoro Siracusa quasi quanto Cagliari.
Carlo é con me come non accade da tempo. Non ha mai visto questa parte della Sicilia se non in gita scolastica al liceo.
Raggiungiamo Ortigia in barca dal Minareto. Alessandro il nostro ‘barcarolo’ ci porta a vedere l’allevamento di cozze e ostriche che speriamo di assaggiare nei prossimi due giorni. Attracca al porto turistico davanti al Grand Hotel Ortigia ( che bei ricordi qui) e ci dà appuntamento dopo due ore.
Prendo Carlo per mano e passeggiamo veloci fra vicoli e piazze.
I tanti locali, bar, ristoranti, negozi per turisti e non, sono aperti e mantengono intatto il fascino multietnico di questa Isola nella città. Voglio che Carlo veda il Duomo all’interno e all’esterno. Che respiri la maestosità della storia. Purtroppo c’è un sontuoso matrimonio e la basilica è chiusa ai turisti. Diamo un’occhiata veloce e Carlo mi chiede di farci un selfie. Un selfie? Lui? Assaporo questi minuti di pura felicità e nemmeno i 40 gradi all’ombra riescono a distrarmi.
Ci rinfreschiamo con due coni da Condorelli, ricotta e pistacchio. Molto buoni e consistenti. E con due spremute di arancia, dolcissime, nella perpendicolare alla strada del Mercato del Pesce. Alle 18 e 30 i banchi stanno lasciando spazio a minuscoli tavolini all’aperto cha aspettano villeggianti e turisti di passaggio. Che sono pochi, anzi pochissimi.
Distolgo la sguardo dalla mia momentanea felicità e lo sposto da un’altra prospettiva: Ortigia è semivuota. Che bello potrebbe pensare qualcuno. Che tristezza penso io. Alessandro mi conferma che la mia impressione è la foto dell’attuale realtà. I mesi passati hanno fatto danni massicci. La ‘gente’, quella poca che c’è, è diffidente e impaurita. Non accetta di fare il giro dell’Isola in barca e al ristorante preferisce pasteggiare in camera.
Torniamo al Minareto perché ci aspetta una tenerissima e gioiosa cena di Famiglia. Il mio Spada alla siracusana è perfetto, la temperatura anche.
La notte scende presto e con essa il mare comincia a brillare. Amore senza fine, solo qui, fra scogliere e piccole baie accoglienti, fra spiaggette raccolte e grandi respiri che sanno di mare aperto.
L’Hotel è al 49% degli ospiti abituali. Penserete: bello anche questo no? Scriverei proprio no. Non sono per me i luoghi affollati e la calca umana mi dà fastidio. Ma così no. Non mi piace affatto. Mi dicono che domani andiamo alla Spiaggia di San Lorenzo e poi a Marzamemi. Non vedo l’ora di contraddire le mie parole qui sopra.
Arriviamo al Lido di San Lorenzo, stabilimento balneare molto chic e completo di ogni optional, e parcheggiamo nell’area ‘selvaggia’ oltre la strada. Mi viene in mente il film ‘Come un gatto in tangenziale‘ con Antonio Albanese e Paola Cortellesi. Se vi capita di andare mi darete ragione. Ci aspettano due pagode vicine, una sabbia bianchissima, un mare mosso con tante sfumature di blu, un sole caldo un po’ annebbiato dalla foschia e un vento insistente. Molto piacevole. Siamo circondati da chioschi, bar e ristoranti, dentro e fuori. Musica alla moda e bella gente soprattutto giovane. Chi di noi è già stato qui l’anno scorso ricorda una pizza straordinaria con il cornicione ripieno di ricotta, una con la mozzarella di bufala e il prosciutto crudo e una filante con 4 formaggi locali. Chiediamo al ristorante all’aperto che ci informa, aihnoi!, che la pizza si può ordinare scaricando l’App e la portano sotto l’ombrellone. Se si vuole mangiare seduti al ristorante il menu è tutto o quasi giapponese con ampia prevalenza di sushi e sushi fusion. La nostra voglia di tradizione siciliana subisce uno scossone e qualcuno borbotta: “Non siamo venuti qui per mangiare sushi!” Ma così è e non possiamo cambiare le regole. Ci permettono di portarci la pizza dalla pagoda al tavolo. Ormai siamo disposti a provare qualsiasi emozione e andiamo di sushi fusion. Ho evitato, volutamente di fotografarlo. Direi molto buono e ben fatto.
Ma che c’azzecca il sushi con la Sicilia Bedda? Durante questo maledetto Covid moltissimi locali in tutta la regione sono diventati locali sushi. Per la gioia dei siciliani che non possono mica mangiare arancini e cannoli ogni giorno? Comprensibile? Immagino di sì.
Però a Marzamemi nelle piazzette e sulla spiaggia la tradizione locale è quella che vince. Anche fra i cittadini del luogo. Abbiamo mangiato pomodorini di Pachino veri. Straordinari. La tipica ‘scaccia’ o focaccia come volete chiamarla ripiena vale la sosta e il viaggio andata e ritorno.
Le luci della notte che si riflettono sul mare. E, evviva, solo l’unico ristorantino sushi non era pieno. Vi aspetto per la seconda parte.