un muro si fa come una poesia,
non quelli che chiudono le stanze
– no – penso ai muri che orlano
vigne e frutteti in declivio, muri
di sostanza, schiaffi alla sfacciata
bellezza delle colline;
seguono la linea
approssimativa dei pensieri,
tastando un corpo infinito e poi rovinano,
coperti dalla furia
di cicale e temporali;
quelli fatti solo di pietre, scavate
in un silenzio senza luci e profumi:
solo materia che medita,
assimilante, tolti dal grembo
e lasciati, per un certo tempo,
nudi, in un angolo di prato,
venendo alla luce
e costretti a rimaritarsi
con il fianco della madre,
a non sfuggire più
il cielo che li sovrasta;
e soprattutto, il mordere
tra loro per tenersi
in bilico lungo il declivio;
la mano che ne sposta
e smussa i confini, cerca il peso
che sostiene,
appoggiando la riga alla trama
dei sassi più piccoli,
versando terra scura tra questi
e il piano inclinato;
mi sembra proprio che nel calibro
di virgole e punti e virgola,
la vita del testo assomigli
alle ambizioni di un muro
di campagna, al suo fraseggiare
incompiuto e sincero,
una melodia che, disfacendosi lentamente,
prenda ragione dal fluire zoppo
di giorni e di notti
foto: contrada Marziola, Valle d’Itria