Bucano gli agoni la superficie del lago, spinti dall’impeto amoroso. Nudo metallo, limato tra petti e pinne. Cuciono una breve passione per appetiti che durano un anno: fame e fama di cacce notturne.
Sono argomenti oziosi, vitali, tempestivi, sottintesi, “lavorati – come dice Cicerone – sulla punta dell’ago” per tutta la vasta, irregolare, circolarità del lago. Tra l’agone e il missoltino c’è la stessa differenza che passa tra il pesce e una moneta. Seccati, pressati e stesi sul fondo alla tolla, attendono una fine giudiziosa. Bocconi misurati come i ciocchi del camino.
A maneggiarli potrebbero anche tintinnare. Assomigliano alle piastre d’argento, a quei tesori sottratti e dilapidati per armare le navi da corsa.
Volta la testa e la coda… ancora un’altro, più piccolo, per finire in bellezza la tolla! Una dozzina sopra, stretti a ventaglio e tre sotto, di sbieco in un’asimmetrica fratellanza. Così da sempre, perchè rifulga nella morte solo il busto, essendo la coda brutta e indegna.
«Fummo pesci di maggio e diventammo carne. Tre giorni appesi al triangolo a seccare. Ci tolsero, con giri di manovella e strette successive, l’olio da ogni fibra. Ci attende un’effimera resurrezione nel fuoco e nell’aceto».
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