Bianco come la balena bianca è «il sentiero del Leviatano», la ferita che egli apre, nuotando per le vastità del mare e mostrando quale sia il vero colore dell’abisso.
La sua presenza, la sua scia, rappresentano l’apertura dei sigilli, la stoffa lacerata della creazione, l’incipit di ogni rivolgimento.
Questo ricordo biblico, questa immagine ripresa dal libro di Giobbe, accompagna Moby Dick, ne disegna la sagoma apocalittica.
Scorazzando per i sette mari, il vecchio capodoglio albino mostra ovunque il colore che più del nero è senza margini, illimitato, invadente.
Un nulla di luce? Pare quasi una bestemmia, ma vale il contrario.
Con la sua emersione, il Leviatano accende la fine che non appare come un precipizio nel buio, ma un lungo bagliore, accecante e spettrale.
E se la balena bianca nuota per ricordarci il compimento dei tempi, allora, sarà proprio la caccia ossessiva a un simbolo a rappresentare, attraverso la dannazione di Achab e del suo equipaggio, la caduta dell’uomo, dal momento che «le balene ubbidiscono a Dio».
Naturalmente, affinché la storia appaia verosimile e il messaggio giunga a segno, occorre che qualcuno ne dia testimonianza.
Serve, cioè, un sopravvissuto che racconti. Una voce nel deserto, un naufrago nell’oceano.
da 50 mostri, prodigi, notizie degli abissi, Gran pesciario inedito di Nicola Dal Falco
Illustrazione di Joseph Eaton, 1870