La guerra finì ed i tedeschi presero le loro armi e cercarono di fuggire attraverso strade poco conosciute. Noi, qualche giorno dopo aver messo ogni cosa al posto suo, prendemmo la via di casa e camminando qualche ora vedemmo via Balilla a Pescara. Macerie che ostruivano la strada e c’era silenzio, tanto silenzio. L’edificio del partito fascista era ancora in piedi ma il cancello aperto, le finestre spalancate e tanta roba nell’immenso cortile dove si faceva ginnastica anche in più di una squadra. Casa nostra, dopo aver fatto le tre rampe di scale, era tutta spalancata e sembrava ci fosse passato un uragano tante erano le cose ammassate per terra alla rinfusa. Fu tale la gioia di tornare a casa che, passato il primo sbalordimento, ci mettemmo subito a cercare di rimettere tutto a posto. Dall’ingresso si passava nel salotto e da lì in camera da pranzo. Ricordo l’angoliera, di legno, vicino alla finestra che dava su via Balilla, ogni cosa era rimasta come l’avevamo lasciata.
C’erano le bamboline, piccole di valore artistico e polvere, tanta polvere. Io e mamma andavamo avanti e papà dietro a passo lento. Pasqualina era andata in cucina e mio fratello in camera sua. All’improvviso sentimmo un urlo e tanto rumore, il quadro sopra la porta che divideva il salotto e la camera da pranzo era rovinato a terra sulla testa di mio padre che si lamentava tenendosi una mano all’altezza della tempia sinistra. Ci precipitammo subito e prendendo un fazzoletto cercammo di tamponare il sangue che usciva. Mamma era una donna risoluta, aiutò mio padre a rialzarsi, lo accompagnò a letto ed alla meno peggio fece un giaciglio che accolse papà che ancora si lamentava. Furono momenti di apprensione indicibile anche perché papà era un uomo alquanto irascibile e non sopportava che, in quei momenti tanto delicati, si fosse verificata una cosa strana. Il quadro aveva la cornice di legno robusto ed anche la tela era di legno per cui rovinando a terra, sulla testa di un poveraccio, non poteva che procurare tanto dolore. Per fortuna il telefono funzionava ed il medico, amico di papà, fu chiamato subito e venne con la sua piccola 500 nera sia per guardare il ferito sia per vederci tutti quanti in buona salute. Fu una gioia grande, era un grande amico di famiglia, ci conoscevamo tutti. La moglie era molto simpatica, allegra e sempre con una battuta pronta a farci ridere. Camillo, il dottore, rimase con noi fin verso le 4 del mattino, promettendoci che sarebbe tornato nel pomeriggio del giorno dopo. Io, intanto, avevo preso sonno nella stanza di Pasqualina dove c’erano due letti ed il silenzio ci aveva coperti tutti. Finalmente eravamo a casa nostra! La ferita di mio padre guarì presto e lui quasi se ne dimenticò.