Tutto continua fra mattina e sera, il pranzo, la cena, i giochi e la grande malinconia che accompagna la mia vita. Gli anni passano ed io imparo ad andare in bicicletta, quella grande, il che vuol dire che le mie gambe sono lunghe, con le gonne che svolazzano al vento e con papà che, quando mi incontrava vicino via Balilla, rientrando a casa, brontolava con mamma. Le gambe dovevano essere coperte, i pantaloni non si usavano, la mia gonnellina svolazzava al primo alito di vento e per mio padre era una vergogna pedalare con le gambe nude. Il mare era sempre vicinissimo ed io ci andavo molto frequentemente, di mattina, di sera ed anche quando il tempo era piovoso o in burrasca. Le onde arrivavano fino al muretto e bagnava la strada con un’ondata più impetuosa. Anche le mie cugine arrivavano baldanzose ed io ero felice. La scuola era per me un di più, facevo tutto coscientemente ma la mia mente si distraeva spesso e volentieri. Pensavo ad altro, al gioco con Maria Pia, alla musica con il piccolo pianoforte che mio padre mi aveva regalato, con tutto ciò che potesse rendere le mie giornate varie e misteriose. La maestra era un’amica di mamma e mi coccolava un pochino, si chiamava Nennella ed io ero molto gentile con lei. Però, nonostante non studiassi molto, ero attenta e, quando mi interrogavano, sapevo rispondere bene a tutte le domande che mi facevano. Ero una brava bambina, posso dirlo senza vergognarmi! Però pensavo intensamente ed il mio viso rispecchiava tutto quello che avevo dentro il cuore; non me ne rendevo conto!
Tutti mi dicevano di sorridere di più, di ridere apertamente ma io difficilmente mi lasciavo andare, nonostante avessi buone compagnie, riflettevo su tutto quello che mi circondava ed il risultato era una lunga riflessione: non mi mancava niente, non avrei dovuto pensare tanto alla mia condizione ma tutto mi riportava al mio stato d’animo. Mio fratello, forse, mi aveva capito e, nonostante fosse taciturno e molto serio, qualche volta mi faceva uscire con lui ed andavamo a giocare con le macchinette insieme ai suoi amici. Macchinette che non ricordo come si chiamavano, ma ricordo perfettamente dove fossero: dietro il cinema per il Corso. Era una specie di bar, grandissimo, pieno di tante macchinette sempre tutte affollate. Io giocavo con lui e con i suoi amici ed ero contenta, Mi sentivo grande, importante! Quando tornavo a casa, la mia contentezza durava poco. Prendevo i miei giochi e cominciavo a giocare per i fatti miei. Il tempo passava ed io cominciavo ad essere una signorinetta, mamma mi faceva cucire sempre abiti bellissimi e mi acconciava i capelli in modo diverso. Li avevo lunghi, un giorno sciolti, un giorno con le trecce, un giorno con la coda di cavallo, ci si divertiva ed io ero contenta.
La vecchia Camera dei soldati aveva dato il posto ai carabinieri ed io, passando spessissimo per via Balilla, cercavo sempre di attraversare la strada e di passare dall’altro lato: non mi piaceva passare vicino al piantone che, diritto ed impalato, mi faceva un sorriso aperto ed invitante. Non ricordo il suo nome, ricordo soltanto che un giorno lo vidi venirmi incontro e mi chiese se poteva parlare con mia madre. Lo raccontai a mamma e lei, da donna severa qual era chiese il nome del Comandante e si fece ricevere raccontandogli tutto. Il carabiniere fu tolto dalla guardia ed al suo posto ci fu un altro piantone più serio, più dignitoso.
Gli anni, intanto, passavano ed io ero felice quando arrivavano i miei parenti da Roma che venivano a fare i bagni a due metri dal mare. Era una meraviglia casa mia diventava un ritrovo per signorine ed ognuna di loro mi faceva provare tutto quello che portava dentro la valigia. Cose meravigliose, gioielli finti bellissimi e tanti bei vestiti, tutti colorati e dalle forme più stravaganti. Loro uscivano la sera per andare a ballare ed io rimanevo a casa, un po’ sconsolata. Mi sentivo grande, avevo già raggiunto una certa altezza e mi dispiaceva rimanere a casa, però la mattina dopo era tutta una gioia!
Mio padre e mia madre mi guardavano da vicino, con occhi attenti e severi ma io non davo loro nessuna preoccupazione. Ero una ragazzina molto assennata, l’ho sempre detto, più grande della mia età.