L’archivista in cucina: una brioche per Gioacchino Murat di Nicola Dal Falco.
Come in un salotto di dame, dove la conversazione non langue mai, la pubblicazione della terza ricetta di Valeria Leotta, dedicata alla brioche salata, ha fatto emergere altre memorie familiari.
E così un’amica archivista ha voluto raccontare la “sua” ricetta per la brioche, legata a Gioacchino Murat, allo straordinario comandante di cavalleria, che sposò Caroline, sorella di Napoleone, e venne insignito del titolo di re di Napoli.
Dopo essersi coperto di gloria in tutti i campi di battaglia dell’Impero e aver cercato di riunire gli italiani sotto un’unica corona, tentò invano di slegare la propria sorte da quella del Corso, finendo, però, davanti ad un plotone d’esecuzione in Calabria.
A lui e alle dame di cui sopra va tutta la nostra riconoscenza e nel caso della brioche, battezzata Campoformido, la nostra ammirazione.
La brioche secondo la ricetta
della famiglia Mastrogiudice Sersale
di Concetta Argiolas
Ogni famiglia ha una sua storia da raccontare e da custodire.
Nella mia famiglia entrambe le cose trovano una curiosa testimonianza nei ricettari, tramandati per generazioni che, con i loro piatti di origine sarda, pugliese, calabrese e napoletana, sono la dimostrazione di una composita tradizione meridionale.
Ricettari redatti da mani diverse, scrupolosamente aggiornati e pazientemente ordinati con stili e registri che compongono un mosaico vivace di storie, abitudini e tradizioni che contribuiscono a ritrovare il passato perduto, la vita degli affetti e delle cose che rimangono nel cuore, ma soprattutto, perpetuano un modo di essere.
Le ricette sono numerose e gli ingredienti, per lo più comuni, sono spesso legati al territorio di appartenenza e trattati con il compiacimento di proporre specialità locali.
Prevale su tutto una garbata semplicità a testimonianza del fatto che per soddisfare i palati di autorevoli ospiti la “cucina di casa” non dovesse ricorrere a iperboli, cedere a sprechi, concedersi a eccessi, stravaganze e ostentazioni.
L’elenco delle ricette è lungo: vi si trovano condimenti, salse, sughi per rendere appetitose le vivande più modeste; intermezzi e fritture, adatti anche per merende e ricevimenti; minestre, zuppe, vellutate e poi paste, riso ma soprattutto timballi, sartù, flan e sformati, proprio come si usava una volta.
Oltre ai contorni, si legge di carni, pesce e anche uova; e, dulcis in fundo, la pasticceria con le creme, i budini, i soufflè, le torte, per la cui esecuzione si richiede ai discendenti il rigoroso vincolo della segretezza.
La lettura di ogni ricetta permette di entrare e curiosare nell’intimità della famiglia e del suo ambiente, suscitando la nostalgia in chi l’ha gustata. Innumerevoli sarebbero gli episodi legati a molte di queste pagine che richiamano profumi, ambienti, situazioni, conversazioni, racconti.
Spesso, poi, insieme ai racconti e ai ricordi emergono anche le gesta di cuochi, tate e governanti, sempre pronte ad allestire pranzi e ricevimenti, eroiche figure che hanno guadagnato un posto di rispetto nella memoria di chi ne ha condiviso parte dell’esistenza.
In questi ricettari non sfilano, dunque, solo ingredienti e preparazioni, ma riprendono vita anche desideri, fatiche e speranze, tramandate nell’arco di alcuni secoli.
Ricette, vissute come sottili sortilegi per ricevere, incontrarsi, condividere, guarire, risvegliare, godere, consolare, e alle quali ispirarsi per distinguersi da un mondo i cui ritmi frenetici, il mito dell’efficienza e l’ omologazione anche culinaria, hanno finito col sacrificare l’eleganza della convivialità.
Ricette e usanze che offrono spunti di riflessione sulle gioie della mensa, sulla ritualità della tavola e la cura nella mise en place.
Un invito a ricordarci che il cucinare, oltre a soddisfare un’esigenza primaria, rappresenta un dono, e che in questo gesto quotidiano, troppe volte scontato, si può annidare un’autentica magia.
In omaggio all’insostituibile valore di quanto la tradizione ci insegna e con l’augurio di una rinascita dei ricettari di famiglia, offro ai lettori di Carla Latini la ricetta del Campoformido, la brioche salata e imbottita di tradizione napoletana così chiamata in onore del trattato firmato, nel 1797, tra Napoleone e gli austriaci a conclusione della sua prima campagna d’Italia, nella versione eseguita dalla famiglia della mia bisnonna paterna: un’antichissima famiglia sorrentina alla cui tavola sedette Gioacchino Murat, re di Napoli dal 1808 e da cui ricevette in segno di gratitudine un servizio di posate da dessert in vermeil francese con i manici di madreperla e l’incisione in oro del suo stemma.
Il servizio, tramandato di generazione in generazione, è entrato a far parte del lessico familiare come le posate di Gioacchino Murat.
Questo è il primo pensiero che ha evocato in me la lettura della versione siciliana della brioche di Valeria Leotta, a dimostrazione di come una ricetta abbia un enorme potere di evocazione.
Brioche Campoformido
Ingredienti per 6 persone:
per l’impasto:
500 gr. di farina
150 gr. di burro
4 uova intere
25 gr. di lievito di birra
un po’ di latte
un po’ di zucchero
un po’ di sale
per il ripieno:
500 gr. di mozzarella
500 gr. di polpa di pomodoro
olio
basilico
sale
Esecuzione: Unire in una ciotola la farina, il burro morbido, le uova, il lievito di birra sciolto in un po’ di latte tiepido, il sale, un po’ di zucchero e sbattere energicamente e a lungo l’impasto finché non si stacca dalle mani. Porre a lievitare in luogo tiepido per tre ore.
Preparare nel frattempo il ripieno facendo riscaldare in un tegame un po’ di olio in cui insaporire per qualche minuto la polpa di pomodoro con qualche foglia di basilico e il sale. Tagliare la mozzarella a dadini e porre a sgocciolare in uno scolapasta.
Ungere di burro una pirofila da forno, possibilmente di vetro e alta una ventina di centimetri. Distribuire l’impasto sulla base e lungo i lati della pirofila, riempire nel mezzo con la mozzarella e la polpa di pomodoro, ricoprire con il rimanente impasto e lucidare con una spennellata di uovo sbattuto. Cuocere in forno già tiepido a 180° per circa un’ora. Sformare e servire caldo.